Gli occhiali di Trump

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Una collega gli lascia sulla scrivania una scatola con una scritta, Trump vision.

Al suo interno è contenuto un paio di occhiali dalla montatura rossa, che lui – il protagonista del breve video – indossa immediatamente. “Ti stanno benissimo”, gli fa lei.. Con gli occhiali sul naso, l’uomo esce dall’ufficio per la pausa pranzo. Mentre attraversa la strada sta per essere investito da un tizio in bici, che passa oltre, si volta e alza il dito medio. Ma il destinatario dell’insulto sorride, poiché egli vede qualcosa di diverso, di più gratificante e lusinghiero: un pollice alzato e un sorriso ammiccante, segno evidente di consenso e di complicità. La scena seguente si svolge intorno al tavolo di un ristorante. I colleghi seduti di fronte – di evidente origine afroamericana – sorridono cordiali e lo accolgono calorosamente, offrendogli delle bustine di ketchup che gli occhiali immediatamente trasformano in bustine di coca o di eroina. Anche i volti, i vestiti e i comportamenti dei commensali sono trasfigurati dalle lenti, che mostrano al posto delle persone gli stereotipi che una determinata cultura attribuisce a quella determinata categoria di persone. Ormai turbato, confuso e impaurito da quella visione, il nostro uomo corre in ufficio passando accanto a ragazze in bikini con la fascia da miss e terroristi islamici. Finalmente giunto in bagno, si guarda allo specchio e vede un uomo magro, muscoloso, dal ciuffo fluente e dallo sguardo sensuale.
Lo stesso artificio narrativo è usato da un altro video, più artigianale e anche più divertente. In questo caso i Trump glasses trasfigurano tre ragazzi che conversano del più e del meno in un party in cui si beve e brinda allegramente. Due ragazzi neri diventano due classici delinquenti di una gang, con tanto di passamontagna, catene d’oro e pistola. Un ragazzo di tratti vagamente mediorientali che scrive su uno smartphone è un arabo con kefiah che accarezza la sua capra, un altro che legge il giornale – questa volta asiatico – è un guerriero armato di katana. Sconvolto dalle ripetute rivelazioni, il ragazzo che indossa gli occhiali corre in bagno e vede allo specchio un baffuto mariachi intento a cantare, con tanto di camicia aperta e sombrero. In questo caso i luoghi comuni non risparmiano neanche il protagonista, che fugge gridando come un ossesso. Una scritta ci ricorda che “Questa è la vita vista attraverso gli occhi di un elettore di Trump” (“This is what life looks trough the eyes of a Trump voter”). Più in generale, comunque, è l’effetto di una visione stereotipata della realtà, osservata con gli occhi di una determinata cultura, che a sua volta è il risultato di un lento lavorìo di trasmissione e di costruzione che avviene attraverso la condivisione di storie più o meno convenzionali.
Non ci illudiamo, dunque. Anche noi, che non eleggeremo Trump, perché non siamo cittadini degli Stati Uniti d’America e perché ci riteniamo dei convinti democratici, guardiamo il mondo attraverso uno o più paia di occhiali. Anche noi possiamo cadere vittime degli stereotipi, manipolati inconsapevolmente dalle storie con cui siamo cresciuti e dalle quali siamo quotidianamente bombardati. Capita a tutti. Un giorno prendi un aereo, ti trovi seduto accanto a un uomo che riconosci da alcuni caratteri come arabo – che non è poi così facile distinguere un arabo da un persiano o da un berbero – e subito cominci ad agitarti, perché quei tre indizi (la barba, gli occhi scuri e profondi, la carnagione olivastra) ti sono bastati a farti vedere, al di là di quell’individuo, un’intera categoria di persone: il Terrorista Islamico. Non ne hai mai visto uno, non sai neanche bene cosa significhi islamico, ma in quel momento sei certo di averlo riconosciuto, hai paura, e il resto non conta.
Certo, prima di chiamare l’hostess e denunciare il pericolo, puoi cercare di calmarti e di approfittare dell’occasione – perché ogni nuova emozione rappresenta una straordinaria occasione – per riflettere. Puoi, per esempio, porti alcune domande come queste: cosa vedo realmente? Cosa so della persona che ho davanti? chi sono io per pensare queste cose? Per quale motivo di fronte a una persona con queste caratteristiche io sono portato a vedere un terrorista islamico?
Ed ecco che all’improvviso ti sei rasserenato. Sei ancora all’oscuro dell’identità del tuo vicino, del quale contini a non sapere nulla, ma almeno ora sai qualcosa di più su di te, sul tuo rapporto col mondo e sugli strumenti che usi per interpretarlo.
È grazie a domande come questa che noi possiamo dire che non voteremmo mai Trump né, in linea generale, uno di quei demagoghi che attraverso le loro parole costruiscono nella mente delle persone visioni del mondo basate sull’etnocentrismo, sul razzismo e sull’omofobia.
Consapevoli di indossare tutti gli occhiali, dunque, ma non per questo incapaci di giocare con le lenti e di usarle per vedere anche sé stessi e la propria cultura, noi autori e autrici di questo libro abbiamo scelto di prenderci il rischio di condividere con i lettori e con le lettrici il nostro punto di vista sul medesimo “oggetto”: il territorio in cui abitiamo e nel quale svolgiamo il nostro lavoro culturale, Grosseto e i suoi dintorni, la città che lo scrittore Luciano Bianciardi definì “aperta al vento e ai forestieri”.
In un momento storico caratterizzato dal ritorno delle leggi del sangue e del suolo, in una stagione in cui in città e nel Paese si diffonde un clima di odio razzista ed è palpabile la paura delle persone di fronte al cambiamento, abbiamo deciso di pubblicare scritti e immagini che hanno in comune alcune caratteristiche e valori che riteniamo sia il momento di condividere:

– lo spirito libertario, anarchico quasi, perché di fronte ai ripetuti tentativi di limitare i diritti delle persone in nome della loro sicurezza, noi rivendichiamo come valore fondamentale la libertà individuale;
– la curiosità come motore della conoscenza, al di là dei confini disciplinari e delle conoscenze già acquisite, che anziché rappresentare un limite possono e devono costituire una risorsa per vivere con gioia il cambiamento;
– il desiderio di dialogo e di confronto con gli altri punti di vista, anche con quelli più stereotipati ed etnocentrici (che spesso sono la sola risorsa culturale in dotazione alle persone più deprivate) perché siamo consapevoli che senza partecipazione non è possibile un’autentica libertà.

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