Il Bianciardi che ci serve (dieci comandamenti)

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Si propone di seguito un arbitrario e opportuno decalogo postbianciardiano: dieci lezioni tratte dalla sua opera, che ancora oggi è una delle più feconde per chi voglia davvero affrontare con coraggio la vita ai tempi del neoliberismo. Ad ogni brano segue il comandamento.

«Ma per intanto il coito si è ridotto, per la stragrande maggioranza degli utenti, a pura rappresentazione mimica, a ripetizione pedissequa e meccanica di positure, gesti, atti, trabalzamenti, in vista dell’evacuazione seminale, unico fine ormai riconoscibile e legalmente esigibile. Il resto non conta, il resto è puro simbolo che serve a spingerti all’attivismo vacuo. Questo vuole la classe dirigente, questo vogliono sindaco, vescovo e padrone, questurino, sociologo e onorevole, vogliono non già una vita sessuale vissuta, ma il continuo stimolo del simbolo sessuale che induca a muoversi all’infinito.» (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962)

Primo comandamento: Fai all’amore ogni volta che puoi. Anche subito. Ho detto subito!

«Tu credi, europeo marcio, di amare il deserto, la natura, la campagna, ma poi dici “finalmente” quando ricompaiono i segni dell’odiata civiltà.» (Luciano Bianciardi,Viaggio in Barberia, 1969)

Secondo comandamento: Tu non sai niente, europeo marcio. Tu non sai niente di te stesso e degli altri. Tu non sai niente. You know nothing.

«Il problema delle origini ha sempre sedotto e affaticato la mente di saggi, sapienti e intellettuali: origini dell’uomo, delle specie, della società; origini del male e della disuguaglianza. Dalle origini di una città o di una religione si son calcolati gli anni, e dire “originale” significa riconoscere un merito. Insomma pare — e chissà poi per quale ragione — che alla gente importi più del passato, del remoto passato, incapace ormai di far male ad alcuno, che dell’avvenire, del prossimo avvenire, sempre, come ben sappiamo, minaccioso e incombente. Stando così le cose non c’è sa stupirsi se anche nella nostra città, piccola città, ma civile e progredita, c’erano sapienti, dotti e intellettuali che ne cercavano alacremente le origini» (Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale, 1957)

Terzo comandamento: Scegli, del passato, quel che ti serve per gestire il cambiamento. Non aver paura di perdere il filo, lo ritroverai. Intanto cambia.

«Sta a noi batterci per il sollevamento, per il risorgimento, diciamolo pure, di questa Italia, anche di questa Italia.» (Luciano Bianciardi, L’integrazione, 1960)

Quarto comandamento: Insieme è meglio. Battiamoci.

«Io, lo giuro, non ho paura della morte, ma l’agonia sì, mi fa paura, specialmente quando dura anni, e ti mozza il lavoro, e tu stai male, avresti bisogno di riposarti e di guarire, e invece continuano a tafanarti i padroni di casa, i letturisti della luce, Mara con la comunione e le palline del bimbo, le tasse, i rappresentanti di commercio, i datori di lavoro, i medici, i farmacisti, le cambiali, gli esattori dell’abbigliamento. L’agonia continua fino a che a tutti costoro sembri che ci sia il modo di levarti di corpo qualcosa ancora, e fino a che tu abbia la forza di continuare. Poi lasciano che tu muoia.» (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962).

Quinto comandamento: Puoi sempre scegliere di cambiare.

«È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero dello auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia.
Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda.
A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera.
Io mi oppongo.» (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962)

Sesto comandamento: Ascolta i tuoi bisogni. Se hai voglia di fare shopping, ricordati del primo comandamento. Fai all’amore ogni volta che puoi.

«L’altra notte mi destai di soprassalto ed ero in una corsia dell’ospedale maggiore di Capetown. Letti di qua, letti di là, con tutta la gente nera che spiccava sul bianco delle lenzuola. Chino su di me, in camice verdino, un uomo alto e biondo che sorrideva mostrando i denti all’infermiera.
“Elettroencefalogramma piatto” disse in inglese, sicuro che io non capissi. Io invece capii.
L’infermierà accennò di sì.
“Possiamo procedere”.
Con tutto il fiato che avevo nei polmoni (e dunque non avevo ancora esalato l’ultimo respiro!) gridai che per carità si fermassero, che non ero ancora morto, ma l’uomo biondo con tutti quei denti crollò il capo.
“Elettroencefalogramma piatto, clinicamente tu sei morto. Vuoi insegnare il mestiere a me? Il cervello non ti funziona più. Possiamo procedere”.
Mi aggrappai come un disperato all’ultima speranza, e giuravo che non era quello il posto mio, che non dovevo trovarmi lì in corsia fra i negri. Cittadinanza italiana, giuravo, razza bianca. Avete visto il passaporto.
“Abbiamo visto, abbiamo visto, la tua faccia di beduino. E la storia della Bella Marsilia, allora?” Sogghignò l’uomo coi denti. “Come la mettiamo con la storia dell’eredità giù a Fez? C’è di sicuro un’ascendente femminile di razza nera. Possiamo procedere”.
Io scongiurai ancora, cavillando, dissi che i beduini non sono negri, che la negritudine comincia dai tropici, ma quello continuava a crollare il capo ghignando con tutti quei denti.
“La negritudine comincia all’Ombrone”. E mi venne il sonno, per sempre.» (Luciano Bianciardi, Aprire il fuoco, 1969).

Settimo comandamento: Credi davvero di sapere qual è il tuo posto? Smetti subito di illuderti di essere al centro dell’universo. Ti conviene vivere una vita sconfinata.

«Mi mise la mano sulla spalla. “Hai capito, Diaccino? Fare la spia è brutto, è roba da galera, ma la fame è anche più brutta. A scuola questo non te lo insegnano, ma se te lo dico io ci puoi credere. Ora vai, vai che ti aspettano a cena.”
Invece quella sera dissi che non mi sentivo bene e andai subito a letto, digiuno». (Luciano Bianciardi, Adorno, 1963).

Ottavo comandamento: Impara dalla tua esperienza, e anche dall’esperienza degli altri. Non hai bisogno di provare la fame per sapere che la fame è brutta. Non hai bisogno di lasciare il tuo mondo per provare l’esilio. Ascolta, guarda, leggi, studia. Impara.

“Il purgatorio moderno è fatto di purghe, di iniezioni, di interventi chirurgici” (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962).

Nono comandamento (In omaggio e in ricordo di Mario Monicelli): Vivi e muori con identico coraggio.

«Occorre che la gente impari a non muoversi, a non collaborare, a non produrre, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha.» (Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962).

Decimo comandamento: Non dovresti neanche essere qui davanti allo schermo.

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